Dopo la Prima Edizione della Biennale d’Arte di San Nicolás nel 2015, la scelta e le motivazioni di una Biennale d’Arte Intercarceraria in Argentina.
Le opere dei tre vincitori a Salerno.
Per chi non conosce l’Istituzione “carcere” ed il suo funzionamento, posso affermare che varcare la soglia di una prigione per la prima volta, - sebbene io lo abbia fatto per motivi che esulano da condanne, ma vi sono entrato per “motivazioni artistiche e sociali” - è come entrare in un altro mondo.
E credo che questa sensazione trasformi il carcere in uno dei più gravi problemi della nostra società: il considerare che appartiene ad un altro mondo, sconosciuto dalla maggioranza di coloro che vivono “fuori”, un mondo dal quale, addirittura, distogliamo lo sguardo.
Ora si tenta di dare una risposta alla domanda frequente, “E noi… cosa possiamo fare?”
“Introdurre l’arte” è già un modo per cominciare a fare qualcosa...
Non si pensa di sviluppare addirittura dei talenti! Nelle prigioni si cerca di provocare un effetto rigenerante nelle persone, attraverso la creazione di un interesse, di una passione, derivante dall’arte e dalla creatività.
Le carceri si popolano di individui che, per circostanze, per decisioni sbagliate, per impulsi poco onorevoli e per altri infiniti motivi, vengono allontanati dalla società e sottoposti ad un periodo di isolamento punitivo.
E' risaputo che, anche dalla privazione della libertà, possano instaurarsi nelle persone delle tendenze espressive.
Dunque, oltre a mantenere impegnati i detenuti, si cerca di innescare in loro un giovamento culturale ed un beneficio personale, nel poter trascorrere di tante ore morte, che scappano via tra le inferriate.
Attraverso l’arte li si può avviare verso un viaggio interiore, è uno dei modi più efficaci per fargli esplorare i luoghi nascosti della propria essenza.
Soltanto conoscendo più profondamente se stessi, potranno valorizzarsi e proiettarsi fuori dalle carceri, per poi riuscire a reintegrarsi nel tessuto sociale. Il fatto di “scappare”, sia verso dentro, sia verso fuori, tante volte diventa imprescindibile. Prospettando loro una via di uscita creativa per l’espressione personale, si indica un metodo di autorigenerazione ed autoguarigione, sempre valido anche per le persone che sono in situazione di privazione forzata della libertà.
Si cerca di provocare un cambiamento, non solo nell’atteggiamento esteriore, ma anche e soprattutto, nelle profondità nascoste dell’animo, o quantomeno, si tenta di alleggerire le pene dei giorni di reclusione, restituendo ai detenuti la fiducia in se stessi, orientandoli a lavorare sul proprio miglioramento, la volontà e la perseveranza.
La prigione ha una via di uscita ed è paradossale che alcuni l’abbiano trovata dentro.
Il potenziale dell’arte per sollevare le dure condizioni della privazione della libertà è altissimo ed è capace di trasformare l’individuo. Aldilà di qualunque snobismo da esteta, poche motivazioni sarebbero più sublimi di questa, per l’atto artistico.
Il diritto dei detenuti alle arti e alla cultura si basa sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.
La povertà culturale è un fattore di esclusione, più della povertà economica. Avvicinare i detenuti all’arte, dunque, rappresenta per loro una delle opportunità più efficaci per ricostruire l’immagine di se stessi, una valorizzazione dell’io, quasi sempre dilapidato.
Obiettivo della Prima Biennale Intercarceraria, realizzata in Argentina, no è stato quello di costruire un’aureola di santità ai reclusi, ma semplicemente si è tentato di mettere in pratica ciò che l’ONU ha stabilito nell’obiettivo 16 dell’Assemblea dell’anno 2015, nel quale si recita che: “…Per coloro che vengono allontanati dalla società con un fine correttivo, per il successivo inserimento, si dovrebbe prestare speciale attenzione. Per coloro che non abbiano alcuna possibilità di recupero, cercare di rendere la vita umanamente tollerabile”.
Grazie all’opportunità che mi viene offerta dalla Biennale d’Arte Contemporanea di Salerno, in qualità di ambasciatore della Biennale in Argentina, ho l’onore di presentare, in questa Terza Edizione, attraverso l’Associazione civile che presiedo “Il neurone della Verità”, le opere dei tre reclusi vincitori del Bando di concorso del 2017, nella Città di San Nicolás, provincia di Buenos Aires.
Le opere dei tre vincitori a Salerno.
Per chi non conosce l’Istituzione “carcere” ed il suo funzionamento, posso affermare che varcare la soglia di una prigione per la prima volta, - sebbene io lo abbia fatto per motivi che esulano da condanne, ma vi sono entrato per “motivazioni artistiche e sociali” - è come entrare in un altro mondo.
E credo che questa sensazione trasformi il carcere in uno dei più gravi problemi della nostra società: il considerare che appartiene ad un altro mondo, sconosciuto dalla maggioranza di coloro che vivono “fuori”, un mondo dal quale, addirittura, distogliamo lo sguardo.
Ora si tenta di dare una risposta alla domanda frequente, “E noi… cosa possiamo fare?”
“Introdurre l’arte” è già un modo per cominciare a fare qualcosa...
Non si pensa di sviluppare addirittura dei talenti! Nelle prigioni si cerca di provocare un effetto rigenerante nelle persone, attraverso la creazione di un interesse, di una passione, derivante dall’arte e dalla creatività.
Le carceri si popolano di individui che, per circostanze, per decisioni sbagliate, per impulsi poco onorevoli e per altri infiniti motivi, vengono allontanati dalla società e sottoposti ad un periodo di isolamento punitivo.
E' risaputo che, anche dalla privazione della libertà, possano instaurarsi nelle persone delle tendenze espressive.
Dunque, oltre a mantenere impegnati i detenuti, si cerca di innescare in loro un giovamento culturale ed un beneficio personale, nel poter trascorrere di tante ore morte, che scappano via tra le inferriate.
Attraverso l’arte li si può avviare verso un viaggio interiore, è uno dei modi più efficaci per fargli esplorare i luoghi nascosti della propria essenza.
Soltanto conoscendo più profondamente se stessi, potranno valorizzarsi e proiettarsi fuori dalle carceri, per poi riuscire a reintegrarsi nel tessuto sociale. Il fatto di “scappare”, sia verso dentro, sia verso fuori, tante volte diventa imprescindibile. Prospettando loro una via di uscita creativa per l’espressione personale, si indica un metodo di autorigenerazione ed autoguarigione, sempre valido anche per le persone che sono in situazione di privazione forzata della libertà.
Si cerca di provocare un cambiamento, non solo nell’atteggiamento esteriore, ma anche e soprattutto, nelle profondità nascoste dell’animo, o quantomeno, si tenta di alleggerire le pene dei giorni di reclusione, restituendo ai detenuti la fiducia in se stessi, orientandoli a lavorare sul proprio miglioramento, la volontà e la perseveranza.
La prigione ha una via di uscita ed è paradossale che alcuni l’abbiano trovata dentro.
Il potenziale dell’arte per sollevare le dure condizioni della privazione della libertà è altissimo ed è capace di trasformare l’individuo. Aldilà di qualunque snobismo da esteta, poche motivazioni sarebbero più sublimi di questa, per l’atto artistico.
Il diritto dei detenuti alle arti e alla cultura si basa sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.
La povertà culturale è un fattore di esclusione, più della povertà economica. Avvicinare i detenuti all’arte, dunque, rappresenta per loro una delle opportunità più efficaci per ricostruire l’immagine di se stessi, una valorizzazione dell’io, quasi sempre dilapidato.
Obiettivo della Prima Biennale Intercarceraria, realizzata in Argentina, no è stato quello di costruire un’aureola di santità ai reclusi, ma semplicemente si è tentato di mettere in pratica ciò che l’ONU ha stabilito nell’obiettivo 16 dell’Assemblea dell’anno 2015, nel quale si recita che: “…Per coloro che vengono allontanati dalla società con un fine correttivo, per il successivo inserimento, si dovrebbe prestare speciale attenzione. Per coloro che non abbiano alcuna possibilità di recupero, cercare di rendere la vita umanamente tollerabile”.
Grazie all’opportunità che mi viene offerta dalla Biennale d’Arte Contemporanea di Salerno, in qualità di ambasciatore della Biennale in Argentina, ho l’onore di presentare, in questa Terza Edizione, attraverso l’Associazione civile che presiedo “Il neurone della Verità”, le opere dei tre reclusi vincitori del Bando di concorso del 2017, nella Città di San Nicolás, provincia di Buenos Aires.